19.2.24

LIBERTÀ PER JULIAN ASSANGE, PRIGIONIERO POLITICO

UN APPROFONDIMENTO PER IL "DAY X", E PER I GIORNI A VENIRE...


L'Alta Corte di Giustizia britannica deciderà, tra Martedì 20 e Mercoledì 21 Febbraio 2024, se Julian Assange verrà estradato negli Stati Uniti.


<<Una delle migliori maniere per ottenere giustizia è quella di rivelare l'ingiustizia>>. Citazione di Julian Assange e immagine di Gianluca Costantini
<<Una delle migliori maniere per ottenere giustizia è quella di rivelare l'ingiustizia>>. Citazione di Julian Assange e immagine di Gianluca Costantini


Al di là del fatto che questo pericolo per un coraggioso cronista e un editore visionario venga scongiurato o meno, abbiamo il dovere di mobilitarci sia per il giorno "X", come è stato ribattezzato da militanti e attivisti di tutto il Mondo, sia nei giorni a venire. Il perché lo spieghiamo in questo approfondimento sulla vicenda che mischia cronaca giudiziaria, questioni etiche, deontologia giornalistica e libertà di informazione. 

Un articolo "a lunga conservazione" e "scadenza" in accordo con la linea editoriale e la filosofia di "slow-journalism" che caratterizza "La Fanzina Generalista", colmo di spunti sulla vicenda dell'hacktivista. Pensiamo sia utile non solo per mobilitare quante più persone domani e dopodomani: militanti e attivisti si riuniranno a Londra e in tutto il Mondo, per chiedere non solo la liberazione di una persona attualmente sotto "tortura di stato", ma anche per rivendicare la libertà di informare e conoscere. 


locandina per il giorno x con il volto di Assange

Nelle prossime righe cerchiamo di ripercorrere le tappe fondamentali della vicenda umana e giudiziaria dell'editore, cronista e attivista "cypherpunk", scandagliando alcuni degli aspetti più rivoluzionari e controversi del più noto portale di whistelblowing, Wikileaks, con alla base l'idea di un giornalismo e di un'informazione all'avanguardia, basati principalmente su fonti primarie.


Se per assurdo ammettessimo che Assange abbia davvero commesso dei reati per ottenere delle informazioni di rilevanza pubblica, sarebbe più importante dei crimini di guerra scoperti? In altre parole: è più importante un ipotetico crimine commesso per rivelare dei crimini di stato, oppure quegli stessi crimini di stato che hanno fatto morire migliaia di innocenti nelle guerre "per esportare la democrazia"?

Non è forse paradossale che chi ha denunciato quei crimini è trattato come il peggiore dei terroristi, mentre chi li ha commessi probabilmente è stato addirittura premiato (non considerando che anche il peggiore dei terroristi, inclusi quelli "di Stato", dovrebbero sempre godere del rispetto dei più basilari diritti umani)? 

Se pure avesse commesso tutti i crimini che gli vengono contestati, se fosse anche il peggiore dei criminali sulla terra, meriterebbe comunque quasi due secoli di carcere o la pena di morte? 

Seppure fosse vero che Wikileaks abbia diffuso delle informazioni che hanno messo in pericolo la vita di alcune persone, non sarebbe forse un prezzo caro da pagare per avere un mondo più vero e perciò più giusto, per scoprire che altre persone sono state uccise impunemente, e per fare in modo che altri civili non vengano uccisi a cuor leggero, fungendo da deterrente e rivelando all'opinione pubblica il vero costo della guerra, con narrazioni non edulcorate da una criminale propaganda di stato? 

Le informazioni devono solo finire nelle mani dei governanti, o anche in quelle degli attivisti per i diritti umani che dedicano la loro vita a capire chi li viola?



I CAPI DI IMPUTAZIONE: UN PROCESSO LETTERALMENTE SENZA PRECEDENTI

L'editore e giornalista Julian Paul Assange potrebbe essere estradato negli Stati Uniti nelle prossime ore. Rischia una condanna fino a 175 anni di carcere per spionaggio in regime di "massima sicurezza", e quindi di isolamento pressoché totale, in violazione dei più basilari diritti umani. Rischierebbe anche la pena di morte, oltre a essere stato oggetto di un tentativo di omicidio extragiudiziale, stando a quanto dichiara la sua difesa e a quanto hanno riportato alcune testate internazionali.

I capi di accusa sono 18 e riguardano la violazione della legge sullo spionaggio: in 16 di questi gli si contesta di avere ottenuto e divulgato (e, in un caso, solo tentato di ottenere e divulgare) in maniera non autorizzata informazioni riguardanti le guerre in Iraq e Afghanistan, e le relative regole di ingaggio, oltre a diverse comunicazioni diplomatiche e ad altre informazioni sul campo di internamento di Guantanamo. Un altro capo di imputazione riguarda l'accesso abusivo a sistema informatico. L'ultima accusa è quella di associazione per delinquere finalizzata all'intrusione in un sistema informatico e alla cospirazione, <<insieme ad altri noti e non noti complici>>, per ottenere, ricevere e rendere pubbliche informazioni pertinenti la difesa nazionale. Contenuti che avrebbero messo in pericolo la vita di diversi informatori delle autorità nord-americane e alleate.

Per la difesa la richiesta di una pena così elevata è legata a una <<tradizione di richieste di patteggiamento coercitive, tramite accuse eccessive, per assicurarsi una sentenza di condanna>>. La giuria, che verrebbe selezionata tra <<persone connesse con il governo, agenzia di sicurezza nazionali e imprese militari private>>, rischia di non essere indipendente. 

È la prima volta nella storia degli USA, l'unico paese dell'"illuminato" occidente ad applicare la pena di morte, che un editore viene processato per avere ottenuto e pubblicato dei segreti di stato. 

La difesa afferma che prima di questa causa esisteva <<una pratica consolidata di non accusa per gli editori>>, come testimonia il caso dei "Pentagon Papers": negli anni '70 l'allora militare Daniel Ellsberg girò alla stampa 7000 documenti top-secrets riguardanti, tra le varie cose, la guerra del Vietnam. Fu accusato di spionaggio e si intimò ai giornali di non procedere con la pubblicazione. In tribunale fu assolto e le rivelazioni furono consentite sulla stampa in base al Primo Emendamento della costituzione americana, che regola la libertà di espressione.


In uno degli scenari possibili, nemmeno il peggiore, potrebbe scontare un'ipotetica pena comminata dagli USA in Australia, paese in cui è nato. In un altro, poco migliore, il suo caso potrebbe finire di fronte alla Corte europea dei diritti dell'uomo, mentre continuerà comunque la tortura psico-fisica cui è sottoposto: attualmente è in stato di detenzione cautelare in un regime durissimo, riservato ai più pericolosi criminali, come i terroristi dell'ISIS: si trova in una cella di pochi metri quadri in totale isolamento per quasi 24 ore al giorno, e potrebbe restare lì a tempo indefinito. 



Un attivista pro-Assange simula le condizioni di vita in cui si trova l'hacktivista. Uno spazio di pochi metri quadri è delimitato dal nastro adesivo, mentre seduto legge un libro su Prometeo.
Un attivista pro-Assange simula le condizioni di vita in cui si trova l'hacktivista.



Una "tortura legalizzata" che continuerebbe anche se gli fosse garantita la possibilità di un altro ricorso all'interno del sistema britannico, scongiurando un'imminente estradizione. E intanto nel Regno Unito si stanno valutando riforme riguardanti la conformità con l'organo giudiziario di Strasburgo. Tra le possibilità più favorevoli c'è un'improbabile grazia del re Carlo, o una forse più probabile revoca della richiesta di estradizione dall'amministrazione Biden... Sempre se "l'uomo più potente del Mondo" decidesse di andare contro gli istinti e gli animi più conservatori del suo paese, con l'appoggio dei parlamentari che chiedono la sua liberazione, e sempre se non sopraggiungesse il "berlusconoide" Trump. Quest'ultimo avrebbe infatti avallato anche un tentativo di omicidio extragiudiziale da parte della CIA, mentre nel 2010 ha affermato pubblicamente di essere favorevole a comminargli il massimo della pena per alto tradimento, e cioè la pena di morte. Nel 2017, alcuni mesi dopo lo scandalo che travolse la Clinton e i democratici nel pieno della campagna elettorale, venne invece smentita un'offerta di grazia da parte Trump: Assange avrebbe dovuto fornire informazioni su chi gli aveva fornito le mail al centro della controversia, confermando con delle prove che i documenti sfruttati dallo stesso Trump non erano stati dati dalla Russia a Wikileaks, cosa dichiarata comunque dallo stesso Assange. 

Strane storie a parte, ricordiamo che la sola eventualità di una condanna a morte impedirebbe, legalmente, la possibilità di un'estradizione, e che le vaghe promesse statunitensi di "trattare bene" il prigioniero difficilmente possono essere ritenute sincere. Per Amnesty International le rassicurazioni degli USA sono insufficienti a garantire delle condizioni umane in quanto piene di <<riserve>>, e perché falliscono già nel mantenerle per <<centinaia di migliaia di persone attualmente imprigionate>>. Sussiste per questo il concreto rischio di subire punizioni, trattamenti degradanti e inumani peggiori di quelli cui è già sottoposto.

Il team legale di Assange ricorda inoltre che l'estradizione non è prevista per ragioni e opinioni politiche: il rischio per l'equità del processo non è solo quello di ricevere una sentenza sproporzionata: <<gli Stati Uniti potrebbero argomentare che non può essere tutelato dalla protezione derivante dal Primo Emendamento (riguardante la libertà di informazione) in quanto non di nazionalità statunitense. In altre parole: l'imputato verrebbe discriminato al processo perché non è un cittadino statunitense>>!

A parte il fatto davvero curioso di non garantire le protezioni sulla libertà di stampa in quanto non cittadino statunitense, mentre al contempo lo si accusa di alto tradimento verso uno stato cui non è cittadino, la difesa argomenta che, oltre a consegnare un prigioniero politico direttamente nelle mani di chi avrebbe voluto assassinarlo illegalmente, le accuse potrebbero essere riformulate addebitandogli la pena capitale.

Assange veniva poi anche spiato nell’ambasciata in cui si è rifugiato per 7 lunghi anni. Le sue conversazioni con gli avvocati venivano ascoltate e registrate. Anche solo per questo, e cioè per la violazione dei colloqui privati con il proprio avvocato, un eventuale processo non può essere considerare equo: l'accusa ha una spropositata e illegittima "arma in più" se conosce tutto quello che si sono detti imputato e legale!

Va ricordato infine che, a oggi, l'estradizione non è stata attuata per le sue precarie condizioni di salute, incluse quelle che potrebbero portarlo al suicidio

L'intento, secondo chi scrive, è uno: cercare di distruggerlo, anche ammazzandolo "lentamente", dopo averlo sequestrato per vie giudiziarie, e lanciare allo stesso tempo un monito a tutti i giornalisti e cercatori di verità del pianeta: la libertà di stampa va esercitata nei limiti stabiliti dai poteri forti, non negli interessi della collettività!



COS'È WIKILEAKS: PULSIONI LIBERTARIE-CIBERNETICHE E REPRESSIONE 2.0

Fondata nel 2006, Wikileaks è una piattaforma per il "whistleblowing": serve per delle "talpe", degli "insiders", le cosiddette "gole profonde" che vogliono denunciare degli abusi di un'organizzazione di cui fanno parte. Queste preziose fonti e le loro vite vanno protette anche secondo la deontologia giornalistica. Di solito queste denunce sono anonime, e la riservatezza delle loro fonti è tutelabile tramite dei meccanismi di cifratura.

Wikileaks, che fonde la parola “wiki” con “leak”( ossia “perdita” nel senso di “fuga di notizie”), è arrivata a ospitare decine di migliaia di testi riservati, dati, notizie, corrispondenze diplomatiche e video sui più disparati argomenti. I primi documenti e video a fare molto scalpore furono forniti da un militare statunitense, Bradley Edward Manning, che diventerà Chelsea Elizabeth Manning dopo un percorso di transizione di genere. 

Wikileaks si era già occupata di diversi potentati, in particolare del cosiddetto "terzo mondo", ma non aveva mai contrastato prima, in maniera così diretta, il complesso militare-industriale occidentale. I file documentavano infatti diversi abusi e stragi dell’esercito americano e dei suoi alleati. 

Nel 2010 la piattaforma sale alla ribalta delle cronache con un video intitolato "Collateral Murder", letteralmente "Omicidio Collaterale". Il filmato, che diverrà virale, svela già dal titolo un problema cruciale, relativamente alle leggi di guerra: quando dei civili vengono coinvolti accidentalmente in degli attacchi si parla di "danni collaterali". Quando invece vengono presi di mira direttamente, e quando non si fa tutto il possibile per evitare vittime innocenti, allora la parola più corretta è "omicidio", un assassinio che può essere intenzionale o avvenire per negligenza. Difatti nel filmato c'è la registrazione di un raid, compiuto nel 2007, in cui sono morti diversi civili, inclusi due giornalisti della Reuters, colpevoli di avere una telecamera che poteva sembrare vagamente una pistola.

Quelli erano gli anni delle primavere arabe, delle prime rivolte organizzate con un ruolo decisivo del web, la rete delle reti in cui Wikileaks diffondeva notizie sulla corruzione, contribuendo a innescare sommovimenti organizzati per mezzo dei social-network e criticando quelli ritenuti eterodiretti dagli USA, le cosiddette "rivoluzioni colorate"

I social network sembravano ancora dei mezzi democratizzanti, nonostante le progressive ondate di de-politicizzazione della società. Internet, riflesso di essa, sembrava più "libertario" di oggi -a torto o a ragione- e pareva più "rivoluzionario", nonostante le contraddizioni intrinseche ai contesti di trasformazione e fermento politico. 

Oggi invece siamo in una molto più buia fase di reazionaria restaurazione tecno-politica, in cui le tecniche più rozze della propaganda multimediale di guerra, come quella di eliminare fisicamente i giornalisti, insieme al capitalismo cibernetico, che censura e favorisce algoritmicamente il complesso militare-industriale di cui è espressione, ed è usato per controllarci in maniera ipnotizzante o per reprimere chirurgicamente il dissenso, sono diventati totalizzanti e pervasivi. 

Il giovane e intelligente hacker per alcuni è diventato il simbolo di un giornalismo libertario, visionario e romanticamente piratesco, pioniere di un mondo senza menzogne, mentre per altri ancora è un rivoluzionario divenuto despota. Per qualcuno è un più "banale" simbolo, immolato, della repressione del diritto fondamentale all'informazione, per qualcun altro un "complottisticamente banale" agente al soldo di imprecisati servizi segreti, o quantomeno un loro "utile idiota".

Quest'accusa ci sembra completamente infondata: basta consultare i documenti ancora disponibili su Wikileaks, o semplicemente gli archivi delle cronache, per comprendere che non ha fatto sconti a nessuno. Né agli USA, né alla Russia, né alla Cina, né ai potentati delle multinazionali private. Per questo è molto complicato valutare in maniera precisa l’estensione del "raggio" di nemici che Assange e il suo team si sono "guadagnati", oltre alle diverse testate internazionali che hanno collaborato con loro. Per questo non bisogna smettere di indagare e parlare di questa immensa vicenda. 

Confondere un giornalista, che vive analizzando e riportando informazioni all'intera collettività, con una spia, che vive riportando informazioni a una potenza nemica, è semplicisticamente pretestuoso. Se Wikileaks è proprio da considerare come un "servizio di intelligence", allora va definito come "agenzia di intelligence popolare"!

Inoltre, quando si dice che Assange ha danneggiato più l'occidente che altre potenze dell'attuale ordine mondiale multipolare, non si considera un'ovvietà: tutti noi occidentali conosciamo meglio il contesto dell'ovest del Mondo. Vivendoci dentro è normale essere portati a parlare "male" del pezzo di pianeta che abitiamo, ma anzi... A maggior ragione dobbiamo parlare "male" delle cose che non vanno bene "dalle nostre parti", abbiamo il dovere morale di denunciare le barbarie che la presunta "civiltà" occidentale compie, proprio perché viviamo in quel tipo di civiltà! Proprio perché siamo direttamente coinvolti in esso.

Nel periodo di maggiore frenesia anti-autoritaria e cibernetica, si origina un concetto semplice e fondamentale, alla base della filosofia di Wikileaks: prendere informazioni, e dunque potere, da chi ne ha molto, per poi “redistribuirlo” e restituirlo alla collettività, proteggendo al contempo chi forniva quelle informazioni tramite sistemi di cifratura. La mole di documenti era immensa e per questo alla stessa collettività, oltre che al suo team, spettava il compito di controllare quelle notizie, prevenendo la pubblicazione di informazioni deliberatamente false o pericolose: questo concetto è cruciale, dato che implica un controllo collettivo dell’informazione, un protagonismo auto-gestionario nelle verifica delle fonti che non dovrebbe essere delegato solo agli specialisti della comunicazione e della politica, ma diffuso all'intera società.

In quasi vent'anni di attività Assange e il suo team hanno acquisito un vasto consenso popolare, ma hanno anche attirato le attenzioni di tanti nemici nelle sfere alte del potere economico-finanziario e, trasversalmente, nei vari schieramenti politici. 

Attualmente la priorità del team di Wikileaks, come ci ha spiegato Stella Assange quando l'abbiamo incontrata a Napoli, è quella di riuscire a liberare il suo fondatore. Nonostante questo, e nonostante il fatto che alcuni documenti sono stati rimossi negli anni, la piattaforma è ancora in attività: per esempio nel 2019 hanno pubblicato dei documenti sulla corruzione nell'industria ittica, mentre durante il lo scorso Ottobre hanno contribuito ad accertare la veridicità di un documento israeliano, contenente il piano di sfollamento forzato dei gazawi.



IL CALVARIO GIUDIZIARIO: TRA MACCHINAZIONI E VIOLAZIONI DI DIRITTI UMANI

L'odissea giudiziaria di Julian comincia quando viene imbastito contro di lui un finto scandalo sessuale in Svezia: era accusato di stupro, accuse totalmente infondate. Per questo era anche agli arresti domiciliari nel Regno Unito, misura che ha tecnicamente violato riparando nell’ambasciata dell’Ecuador londinese per chiedere asilo, “auto-incarcerandosi” ed esiliandosi per 7 anni.

Dopo il cambio di governo nel paese latino-americano è stato arrestato dalle autorità britanniche: secondo il padre la revoca del diritto d'asilo, e conseguentemente la sua libertà, sono stati "barattati" per un prestito del Fondo Monetario Internazionale. Invece, secondo l'allora presidente Lenin Moreno, bisognava evitare che l'ambasciata divenisse <<un centro di spionaggio>>. 

Eppure a essere costantemente sotto controllo, era proprio Assange, all'oscuro anche del precedente governo ecuadoregno: chiunque entrava nell'edificio era filmato e registrato da una società privata di security fondata da un ex militare spagnolo. Telecamere e microfoni si trovavano perfino nei bagni delle donne. Anche la sola registrazione dei colloqui con gli avvocati minano perciò qualunque prospettiva di un processo definibile come "equo".

Adesso ha già passato 4 anni nel carcere di massima sicurezza britannico di Belmarsh, dove vive in un isolamento totale e barbaro per quasi tutta la giornata, ristretto come un animale in gabbia.

Come abbiamo accennato sopra, negli Stati Uniti è accusato in base al cosiddetto “Espionage Act”, una legge promulgata nel 1917, quando la tecnologia che fa funzionare le nostre radio era ancora agli albori, quando la concezione della libertà di stampa era molto diversa da quella attuale. Una legge pensata per contrastare il vero e proprio spionaggio durante la prima guerra mondiale, non la pubblicazione di documenti di chiara rilevanza pubblica.

L'incarcerazione assume contorni pirandelliani perché ha sostanzialmente confermato una serie di notizie che già circolavano sull'illegalità delle guerre in Iraq e Afghanistan, e non ha fatto “nuove” rivelazioni. È un po’ come accusare il testimone di un delitto invece di chi lo ha commesso. E quando un testimone è "scomodo" la sua eliminazione può essere progettata e attuata con ogni mezzo: secondo un'inchiesta di Yahoo News l'allora presidente Trump, e il direttore della CIA Mike Pompeo, tramavano l'omicidio del giornalista australiano, oltre ad attività di "dossieraggio" di altri partecipanti al progetto di Wikileaks.

L'accusa formale per cui rischia un ergastolo de facto, la "pena di morte perpetua", non risiede solo nell'aver rivelato informazioni coperte da segreto, ma nell'aver aiutato tecnicamente e incoraggiato Chelsea Manning, analista dell'intelligence americana, a partire dal 2009. 

Manning aveva contribuito a diffondere il video succitato, portando alla ribalta delle cronache di tutto il globo Wikileaks. Per questo inizialmente era stata condannata a 35 anni, ma poi è tornata libera dopo averne scontati 7 con la grazia concessa da Obama (la cui amministrazione non si è discostata molto da quella di Trump, riguardo alla repressione di giornalisti che si sono avvalsi di fonti riservate (come avviene da che mondo è mondo e come previsto dalla deontologia).

Tra gli eventi che l'hanno condotta a diventare una "whistleblower" c'era un'indagine che le avevano commissionato in Iraq: doveva rintracciare dei "cattivi ragazzi" rei di aver stampato dei volantini contro il governo iracheno di allora. Dopo aver scoperto che quanto avevano scritto evidenziava in realtà la corruzione all'interno di quel governo, si recò da un suo superiore. Questi ignorò la sua denuncia invitandola a far arrestare altri "cattivi ragazzi". A quel punto ha un crollo morale e psicologico: per stare a posto con la coscienza deve rendere noto <<il vero costo della guerra>>. Tentò invano di diffondere i primi documenti, che aveva "grattato" dalla base in cui si trovava in Irak, a diverse testate e a un parlamentare democratico, prima di approdare a Wikileaks

Le migliaia di documenti diffusi in quel periodo dal team di Wikileaks, e passati da Manning, hanno contribuito a rivelare crimini di guerra e contro l'umanità che non sono mai stati investigati: civili uccisi e morti "coperte" con insabbiamenti, sistematiche torture e detenzioni illegali (incluse quelle del campo di internamento di Guantanamo, in cui finirono un adolescente e un ultraottantenne con l'alzheimer, "reo" di avere lo stesso cognome di un ricercato) le mazzette ai talebani, i fondi illegali al Pakistan e così via.

La gestione del "caso Assange", un caso politico più che giudiziario, è stata fortemente criticata da diversi esperti di diritto internazionale, denunciando violazioni in merito alle normative su estradizione, diritto d'asilo e per un equo processo. In suo favore si sono espressi anche un gruppo di lavoro ONU sulla tortura, che ha definito come detenzione arbitraria le condizioni imposte da Svezia e Regno Unito, e il Relatore speciale Nils Melzer: Assange è vittima di una tortura psico-fisica che lo sta debilitando fortemente, dovrebbe essere liberato immediatamente e va assolutamente scongiurata la possibilità di estradarlo verso gli USA.

Amnesty International, che secondo tanti attivisti e militanti si è mossa troppo tardi, ha dichiarato in un comunicato: <<rischierebbe gravi violazioni dei diritti umani tra cui condizioni detentive, come l’isolamento prolungato, che potrebbero equivalere a maltrattamento o tortura. Assange è stato il primo soggetto editoriale a essere incriminato ai sensi della Legge sullo spionaggio. Gli Stati Uniti d’America devono annullare tutte le accuse contro Julian Assange, incluse quelle di spionaggio relative alle attività di pubblicazione di documenti nell’ambito del suo lavoro con Wikileaks>>.

In prigione c'è solo Assange, mentre nell'atto di accusa a suo carico non si menzionano i crimini di guerra. Nessuna investigazione sui crimini commessi, nessun potenziale criminale di guerra alla sbarra, a partire dai principali governanti che hanno mosso guerra all'Irak di Saddam Hussein, sulla base di prove della presenza di armi di distruzione di massa che in realtà erano una delle più grandi fake-news della storia moderna, di quei governanti che affermano che non c'era altra maniera che l'apertura delle ostilità militari. Nessuna inchiesta nemmeno per altre forze alleate della NATO che, da come si evince dai "cables" disvelati da Wikileaks", hanno violato il diritto umanitario internazionale (le "leggi di guerra") sterminando tantissimi civili innocenti: non è stata condotta nessuna indagine nonostante le denunce di svariati abusi, dalla tortura con elettroshock allo stupro. 

Bisogna infine ricordare il caso di un altro whistleblower, condannato in via definitiva, tra il 2017 e i primi giorni di questo Febbraio, per diversi capi di accusa e relativi processi. Stiamo parlando di Joshua Schulte, condannato complessivamente a 40 anni di carcere. 

Otto dei capi d'accusa che l'hanno portato sul banco degli imputati riguardano il caso "Vault 7". L'ex impiegato della CIA ha passato a Wikileaks dei codici e degli strumenti informatici usati dall'agenzia per controllare dispositivi come cellulari e PC, un caso molto simile a quello di Edward Snowden (che però lavorava per la NSA, l'ente che controlla la sicurezza interna degli USA). 

Secondo alcuni la "fuoriuscita" avrebbe consegnato l'arsenale di codici invasivi ad altri servizi stranieri e ad hackers, o per meglio dire, "crackers" (pirati informatici che non agiscono per desiderio di conoscenza ma per puro tornaconto personale), di mezzo mondo. 

La CIA non ha mai confermato ufficialmente l'originalità dei contenuti diffusi: più i materiali sono sensibili, più è difficile portarli in tribunale, perché si finirebbe col rivelare altri dettagli preziosi. Oltre alle accuse di spionaggio, abuso di sistema informatico, oltraggio alla corte e false dichiarazioni all'FBI, è stato condannato anche per detenzione di materiale pedopornografico sui suoi device. Avrebbe addirittura consultato quegli orribili materiali da dietro le sbarre. Sempre dalla cella in cui si trovava sarebbe riuscito a ottenere un cellulare e, dopo aver creato un account su "X", avrebbe accusato il governo di averlo intrappolato installando e piazzando di nascosto, sul suo computer, i file con le immagini degli abusi su bambini.

Secondo l'accusa avrebbe diffuso i codici che permettono di indagare e reprimere per vendetta contro la CIA, a seguito di controversie personali sul posto di lavoro. Secondo Wikileaks, invece, lo avrebbe fatto per criticare legittimamente il controllo cibernetico all'interno delle democrazie. Stando a quanto riportavano le cronache negli anni scorsi, Assange non sarebbe accusato di aver spinto e aiutato l'ex membro della CIA, come avvenuto invece con Manning. Potrebbe essere però al centro di nuovi capi di imputazione se estradato.



UN GIORNALISTA, UN PRIGIONIERO POLITICO, NON UNA SPIA! LE FAKENEWS PER SCREDITARLO E QUEI CABLI NON VAGLIATI...

La principale accusa mossa ad Assange consiste nel fatto che avrebbe messo in pericolo anche alcuni cittadini iracheni e afghani, tra cui dissidenti, attivisti e giornalisti che facevano da informatori per gli eserciti di USA e alleati, un punto che alcuni ritengono ovviamente controverso. Assange e il team di hacktivisti hanno dichiarato di aver impiegato tantissime risorse, incluso l'utilizzo di diversi software, per "depurare" quei documenti da informazioni che avrebbero messo in pericolo chi è più debole.

E comunque, anche ammettendo che si siano verificate queste criticità, non è forse legittimo sapere e indagare anche sugli squadroni della morte americani che avrebbero ucciso forze di polizia e civili afgani alleati della NATO? I pericoli ai quali sarebbero stati esposti alcuni civili "filo-occidentali" valgono meno delle evidenze portate a galla di Wikileaks, riguardanti le uccisioni di altri civili "filo-occidentali" e non? 

In guerra tutto è permesso o ci sono delle regole da rispettare per non scadere nella brutalità totale? I giornalisti hanno o no il dovere di evidenziare tali violazioni? Gli ipotetici criminali di guerra, a partire dall'ultimo soldato sul campo per arrivare alle più alte cariche degli stati, sono agli arresti preventivi come Assange, o magari sono stati anche premiati? Chi sono i presunti criminali di guerra? Se ne parla mai, anche solo vagamente, sui giornali che hanno guadagnato con gli scoop forniti da WIkileaks e che poi hanno dimenticato o buttato fango sul giornalista e hacktivista australiano? Inoltre la questione della presunta rivelazione di informazioni pericolose è più complessa di quanto si è portati a credere...

Come abbiamo accennato, Assange e il team di Wikileaks hanno sempre affermato di revisionare i documenti, oscurando eventuali particolari in grado di far identificare e mettere in pericolo persone non coinvolte nei crimini denunciati tramite la piattaforma. Analizzare decine di migliaia di documenti per svolgere un'operazione del genere è oggettivamente complesso: per questo, oltre a evitare di pubblicare i documenti non vagliabili, negli anni la rete di attivisti e "smanettoni" di Wikileaks ha collaborato con le più importanti testate giornalistiche internazionali, con diverse ONG e, addirittura, arrivando a chiedere direttamente alle autorità governative statunitensi di contribuire a eliminare tracce del genere. Ovviamente gli USA hanno declinato l'invito, chiedendo la non pubblicazione e la cancellazione dei documenti non autorizzati. 

In almeno un caso, però, un errore è stato commesso. Al capitolo 11 del libro "Wikileaks: Inside Julian Assange's War on Secrecy" di David Leigh e Luke Harding, pubblicato dal "The Guardian" nel 2011, viene riportata una conversazione tra il primo degli autori e il fondatore di Wikileaks: è riportata però anche una password che permetteva l'accesso a più di 250mila documenti integrali, quindi non revisionati. Wikileaks e il The Guardian si sono accusati a vicenda per la responsabilità dell'accaduto: il portale di Assange diceva che Leigh aveva violato un accordo di segretezza. Il quotidiano britannico replicava di essere sicuro che la password sarebbe stata cambiata dopo un certo periodo di tempo. Su questa vicenda se ne è poi innestata un'altra, quella del primo "dissidente" di Wikileaks, Daniel Schmitt, pseudonimo di Daniel Domscheit-Berg. Ha accusato Assange di essere megalomane e dispotico, e ha affermato che la piattaforma cui contribuiva non era sufficientemente sicura per poi avviarne una concorrente.

Le autorità nordamericane vennero comunque avvisate per mettere in guardia le persone, sparse in tutto il Mondo, potenzialmente in pericolo per il "leak" di Wikileaks.

A oggi nessuno ha mai dimostrato, pubblicamente, nemmeno un singolo caso di una persona la cui vita è stata messa in pericolo dopo il rilascio dei documenti sulle sanguinose guerre in Afghanistan e in Irak, e di altri cablogrammi.

A questo proposito bisogna comunque fare una precisazione: a onor del vero sarebbe possibile pensare che i nomi di persone che hanno potenzialmente subito danni non siano stati rivelati per evitare di fornire altre informazioni pericolose, o comunque "preziose" a livello militare ed economico. Sorge quindi un dilemma etico, dando per scontato che ci siano state o che ci possano essere effettivamente delle vittime: sono un costo necessario per salvare le vite che genererebbero altre guerre illegali, per evitare che i governi tramino nell'ombra, per avere delle democrazie degne di questo nome e, quindi, per la sicurezza del Mondo intero?! 

Secondo Steven Aftergood, che ha fondato un centro studi per combattere la segretezza indiscriminata dei governi e che declinò l'invito ad aderire a Wikileaks, le intenzioni del progetto sono nobili, ma sfocerebbero nella <<divulgazione indiscriminata>> di altri segreti benigni, il cui scopo sarebbe quello di proteggere alcune vite e le sane relazioni diplomatiche.

In merito a ciò Stefania Maurizi, giornalista che ha avuto in esclusiva documenti riguardanti l'Italia da Wikileaks, e che spaziano dalle strage di Ustica all'emergenza rifiuti in Campania, argomenta (nel libro "Dossier Wikileaks, edito da BUR nel 2011) che Aftergood combatte la segretezza di potentati e governi da irreprensibile accademico, mentre l' <<approccio "pirata">> di Assange più si adatta a contrastare la loro malefatta segretezza e gli abusi coperti dai segreti di stato.


Stefania Maurizi a un incontro organizzato dal "Free Assange Napoli"
Stefania Maurizi a un incontro organizzato da "Free Assange Napoli"

Stefania Maurizi a un incontro organizzato dal "Free Assange Napoli"


A proposito di questo abbiamo chiesto direttamente a Stella Morris-Assange, moglie e legale di Assange, cosa risponderebbe a chi accusa Wikileaks di aver messo in pericolo persone innocenti. Quando Sara Gonzàlez Devant, come si chiamava Stella prima di cambiare il suo nome all'anagrafe per ragioni di sicurezza, è stata a Napoli, ci ha detto: <<Gli USA hanno fatto delle affermazioni dubbie e generalizzate che non sono mai riusciti a provare in un’aula di giustizia. Quando è stato chiesto sotto giuramento, non avevano prove. Sicuramente devono fare degli annunci molto forti perché non vogliono che la stampa li metta in imbarazzo. Wikileaks ha sempre curato le sue pubblicazioni e ha rivelato, letteralmente, massacri di intere famiglie, di civili in maniera indiscriminata nelle strade di Baghdad, di decine di migliaia di civili in Iraq, di tortura, e così via... È qualcosa di concreto, ci sono nomi di vittime innocenti ma niente è stato fatto. Quindi è davvero un tentativo di spostare via l’attenzione dai veri crimini che Wikileaks ha rivelato, attribuendo fantomatiche accuse a Julian per provare a minare il supporto in suo favore>>.


Stella Assange a un incontro a Napoli presso lo spazio sociale "L'Asilo"
Stella Assange a un incontro a Napoli presso lo spazio sociale "L'Asilo"


Oltre all’accusa di essere al soldo di qualche agenzia di intelligence, molti imputano ad Assange l’avere le mani “sporche di sangue” per le conseguenze dirompenti delle sue rivelazioni, come accaduto in Kenya quando, in occasione delle elezioni del 2007, un'inchiesta di Wikileaks innescò un’ondata di violenza.

In merito alla vicenda Assange stesso dichiarò (a Carole Cadwalladr del The Guardian) nel 2010: <<in quel frangente morirono circa 1300 persone e 350 mila dovettero fuggire. Fu un risultato della nostra nostra fuga di notizie. D’altra parte gli abitanti del Kenya avevano diritto a sapere che 40 mila bambini morivano di malaria, e che molti altri morivano per il denaro portato al di fuori del Kenya e della conseguente svalutazione dello scellino (…) Bisogna iniziare con la verità. La verità e l’unica maniera per arrivare da qualche parte, perché ogni decisione basata su bugie o ignoranza non può condurre a buone conclusioni>>.

Inoltre nelle FAQ di Wikileaks, si spiega che <<la più semplice ed efficace contromisura>>, per prevenire fughe di notizie deliberatamente false o pericolose, <<è una comunità mondiale di utenti informati e curatori che può esaminare e discutere i documenti>>. La visione immaginata e sperimentata da Assange è quella di un giornalismo all'avanguardia, imperniato sulla trasparenza e il rispetto dei diritti umani, un modello che è anche condiviso autogestito: come in tutte le esperienze di "autogestione dal basso" ci possono essere delle contraddizioni, delle difficoltà inerenti al fatto che alcune persone vogliono in realtà ribaltare quei meccanismi per imporre decisioni "dall'alto verso il basso". Nonostante ciò, tali esperienze sono fondamentali per ri-organizzare la politica (non necessariamente in senso partitico), e fanno paura proprio per questo: un giornalismo che attinge alle fonti "originali" di una notizia, coinvolgendo la collettività, è un modello di cronaca che contrasta chi invece vuole controllare e soggiogare la libertà di informazione.

Un'altra contestazione mossa nei confronti dell'attivista e giornalista cyber-libertario riguarda i limiti deontologici all'acquisizione di notizie: diversi colleghi credono che Assange, coadiuvando Manning, si sia spinto al di là del consentito. Chi scrive invece crede che, al di là delle implicazioni meramente penali e dei tecnicismi giuridici, se dei documenti hanno la valenza di essere conosciuti dal pubblico non importa tanto come vengano ottenuti, ma ci dovrebbe importare principalmente il loro contenuto, soprattutto se parliamo di crimini commessi dalle principali potenze mondiali nel frangente delle guerre "per esportare la democrazia". Assange, proprio per questo, può essere considerato sia un giornalista che una fonte di notizie, e perciò va assolutamente tutelato.

Non è un caso che ci sono stati molti tentativi di negare il fatto stesso che lui fosse un giornalista. La risposta di gran parte della categoria, e dell'intera società civile, va in senso opposto: Assange è stato iscritto al sindacato dei giornalisti della Campania. Dopo di questo altre 18 nazioni europee hanno siglato la decisione con cui gli è stata fornita la tessera onoraria che lo rende, a tutti gli effetti, un cronista. Diverse città, tra cui anche Napoli, gli hanno conferito la cittadinanza onoraria, un provvedimento che non è solo simbolico: significa che il neo-cittadino ha fatto qualcosa di meritevole, e che per questo è un concittadino da difendere legalmente e moralmente. Inoltre anche diverse sezioni dell'Associazione Nazionale dei Partigiani Italiani gli hanno conferito la tessera onoraria: il messaggio è che Assange è un partigiano contemporaneo della libertà di informazione, non un pericoloso criminale da rinchiudere nella "Guantanamo europea", il carcere di Belmarsh dove attualmente è rinchiuso, in quanto prigioniero politico

Paradossalmente è recluso come se fosse un criminale di guerra in una prigione di massima sicurezza, in una situazione disumana, per aver denunciato dei crimini di guerra: sta soffrendo perché si è sforzato di ricercare la verità, e quindi la giustizia. Sta pagando un caro prezzo, e lo sta pagando la società intera in termini di libertà fondamentali che sembrano tali solo sulla carta. Paghiamo tutte e tutti quando la libertà di parlare e conoscere viene calpestata!



L'ABUSO DELLA SEGRETEZZA DI STATO E LA LIBERTÀ DI STAMPA IN PERICOLO

Conoscere è potere, e quando la conoscenza viene limitata o concentrata solo nelle menti e nella mani di poche persone, anche il potere di incidere sulla realtà viene limitato o concentrato.

L’informazione e le conoscenze corrispondono a un potere, un potere tanto vasto quanto basilare, dato che siamo l’unica specie sulla Terra che può tramandare conoscenze complesse ai posteri.

Il potere del sapere va collettivizzato, dovrebbe essere distribuito equamente fra tutti, così come ogni altra risorsa, materiale e non. Per questo bisognerebbe assicurare il massimo grado di riservatezza a chi ha meno potere (i più deboli) ed esigere il massimo grado di trasparenza da chi ci governa (i più forti), da chi dovrebbe essere al nostro servizio.

Si parla molto dei “big data”, il "nuovo petrolio" costituito dai dati che multinazionali private e organizzazioni governative raccolgono sui cittadini del pianeta. Vengono usati per “profilarci” e sfruttanti principalmente per scopi commerciali, e acquisendo il potere di predire e influenzare le nostre scelte, online e offline, ma anche di attuare repressioni immorali e illegali, per il profitto di pochi. Wikileaks ha ribaltato questo meccanismo: si prendono informazioni da chi è già “potente” e si rendono pubbliche, tentando di trasferire quel potere alla collettività.

Diffondere la conoscenza e dire la verità è un delitto per alcuni, per quei paesi che in nome di una fantomatica esportazione della democrazia conducono guerre illegali, per quegli stati che si definiscono come “buoni” ma che forse in fondo sono anche loro degli “stati canaglia”, anche se in maniera meno evidente e più subdola. Per questo chi scrive pensa che di Assange si stia facendo un esempio. La sua punizione deve scoraggiare altri giornalisti e “cercatori di verità”.

Secondo la mia modesta opinione, se esistono davvero delle “bugie bianche”, queste dovrebbero essere limitate nel tempo e per uno scopo che dovrebbe evitare un "male peggiore", altrimenti finirebbero per diventare delle “bugie nere” alla base di manipolazioni, e conseguentemente foriere di ingiustizia. Il confine tra persuasione e manipolazione risiede infatti proprio nella veridicità di fatti e dati a supporto di un'argomentazione: quando questi sono falsati ci troveremo di fronte a imbrogli e raggiri, e non a un tentativo di convincere qualcuno genuinamente. A questo proposito Stella Assange ha espresso alcuni concetti tanto semplici quanto cruciali, sulla presunta “naturalezza” dei segreti di stato, sull'importanza della conservazione degli archivi storici, e sul ruolo dei mass-media


In foto Stella Assange, quando ci ha gentilmente concesso una breve intervista l'ultima volta che è stata a Napoli. Sullo sfondo si nota il disegno di Gianluca Costantini, con uno dei due figli di Assange e la scritta: "liberate mio padre".
In foto Stella Assange, quando ci ha gentilmente concesso una breve intervista l'ultima volta che è stata a Napoli. Sullo sfondo si nota il disegno di Gianluca Costantini, con uno dei due figli di Assange e la scritta: "liberate mio padre".


<<Come sapete Julian rischia di morire in prigione, e la possibilità di essere liberato dipende dalla nostra capacità di mobilitarci e di informare la parte di pubblico interessata nella giustizia. Sento di dover definire il contesto per comprendere come si è arrivati alla sua persecuzione: dobbiamo avere la memoria lunga, una memoria basata su informazioni vere. La nostra società si sta muovendo velocemente verso una direzione che non possiamo prevedere. La maniera in cui l’informazione viene comunicata è “arbitrata” da algoritmi che fungono da terze parti, da agenti di smistamento dell’informazione. Quando Julian avviò Wikileaks capì come funzionava Internet, cogliendo la capacità della nuova rivoluzione nella comunicazione, ma comprese anche la grande minaccia alla nostra civiltà in cui l’informazione era centralizzata>>.

Potenzialmente tutti possono comunicare qualcosa in rete con grande facilità, ma non è altrettanto facile essere “sentiti” o letti, dato che per decidere questo intervengono algoritmi protetti dal segreto industriale, gestiti da multinazionali private, che tendono a favorire contenuti più monetizzabili, prescindendo dai messaggi che vengono veicolati, in maniera simile a quanto avveniva -e in parte ancora avviene- sui mass media che hanno preceduto il Web. 

A proposito dei mass media, continua Stella: <<Julian comprese che gli archivi storici sono sacri. Attualmente viviamo in un mondo in cui la verità è demonizzata, è considerata un pericolo ed è appannaggio di piccole entità che detengono il potere. Spesso, quando mi fanno delle domande, me ne capita una sui segreti di stato, come se i segreti di stato fossero qualcosa di naturale, come se fossero un fatto opposto alla verità e non il contrario. Mantenendo Julian in prigione si manda il segnale che ora non si può più dire la verità: Julian ha detto la verità sulle guerre in Afghanistan e in Iraq, delle guerre comunicate al mondo tramite la propaganda e seppellendo la verità. C’è una citazione di Orwell: “in tempi in cui l’inganno è universale dire la verità è un atto rivoluzionario”. Difendere la libertà di Julian significa difendere il nostro diritto di conoscere la verità, di acquisirlo nuovamente perché al momento è perso, abbiamo perso la possibilità di parlare senza paura. Non possiamo vivere in una società dove la verità è manipolata e la nostra storia viene cambiata. 

Julian fece un discorso in cui spiegava come le informazioni su Internet venivano modificate continuamente, paragonando questi tentativi con quello che si faceva negli archivi storici sovietici. Raccontò l'aneddoto della rimozione delle voci di alcuni personaggi dalle enciclopedie: alcune pagine sul Mare di Barents vennero inserite per “coprire” quelle mancanti che erano state strappate, mentre oggi possiamo accorgerci che delle pagine mancano o sono sostituite: quando si digita l’indirizzo di un articolo mancante, per esempio, appare il messaggio “errore 404”. Per questo ho paura per il nostro futuro collettivo, perché la nostra storia potrebbe essere manipolata e ridimensionata: non possiamo sopravvivere in un Mondo dove non si può dire la verità! 

Julian è la vittima di un abuso brutale. Con la sua vicenda non sono in gioco solo i suoi diritti ma anche i nostri, come cittadini e come pubblico. Il suo arresto viola i valori europei e il diritto a essere informati. C’è un paese straniero, extraeuropeo, che ha esercitato il suo potere per restringere la libertà d’espressione. Julian è venuto in Europa per pubblicare le notizie di violazioni enormi riguardanti crimini di guerra e crimini contro l’umanità, pensando che l’Europa fosse un posto sicuro in cui ci fossero delle tutele che, nel suo caso, sono però venute meno (…) lo scopo della sua carcerazione è quello di fungere da deterrente per altri giornalisti, per questo il primo passo consiste nel liberarlo, e poi possiamo avere un mondo più sicuro in cui i giornalisti possono lavorare, dato che il suo caso serve a impostare una nuova consuetudine per cui i giornalisti vengono messi in prigione: questo è quello che molti governi vogliono fare, vogliono essere in grado di mettere in carcere i giornalisti. E se lo fanno gli USA perché non dovrebbero farlo anche gli altri?!>>.



LA RICERCA DELLA VERITÀ PER FERMARE INGIUSTIZIE E GUERRE!

Certamente gli Stati devono tutelare i loro segreti, ma fino a un certo punto, sia temporale che morale: se alcuni segreti non vengono mai svelati, quelle ipotetiche "bugie bianche" diventano completamente "nere" e illegittime. 

I giornalisti, in quanto "storici dell'iper-contemporaneità", hanno l’obbligo deontologico di far uscire notizie di rilevanza pubblica, di ricercare e svelare quelle presunte bugie bianche, soprattutto quando quelle notizie ci fanno capire che "i buoni" non sono così buoni in fin dei conti, che a volte non ci sono "buoni e cattivi", e altre volte ci sono solo "cattivi e cattivi". 

<<Ogni umano per natura desidera conoscere>>, dice Julian, e ogni umano ha anche il diritto di conoscere, non solo il desiderio. Le guerre imperversano ininterrotte da secoli, e la prima vittima della guerra è proprio la verità! Molte di quelle guerre iniziano proprio grazie a delle menzogne, e la <<verità può farle terminare>>, ha detto ancora Julian. <<Una delle migliori maniere per ottenere giustizia è quella di rivelare l'ingiustizia>>, e <<l'unica maniera di mantenere un segreto è quella di non averne mai nessuno>>. Queste citazioni di Assange riassumono una concezione radicale e utopica della ricerca della verità, una visione idealista del potere e della segretezza verso cui dovremmo aspirare.



La libertà d’informazione è sempre più in pericolo, così come il modello di democrazia liberale-liberista, un paradigma molto distante dalle visioni più utopiche di noi “sovversivi”. Chi accentra la maggior parte del potere diventa perciò più agguerrito per continuare a conservarlo. Per questo vogliono "punire" Julian, trattandolo come un “esempio” per scoraggiare cercatrici e cercatori di verità. Per questo assistiamo a violazioni dei diritti umani sempre più brutali e palesi, sia nel sistema dell'informazione che in quello carcerario, colpendo qualcuno, o qualcuna, per educarne cento.

Il mondo dovrebbe essere pieno di persone come Assange, che non va né mitizzato né demonizzato, ma va compreso e sostenuto: tutti possono commettere degli errori, ma tutti dobbiamo imparare anche dai pregi e dalle idee innovative e liberatorie di alcuni singoli e collettività.

Wikileaks ha fatto emergere che le potenze mondiali a trazione NATO hanno bombardato e ucciso in maniera illegale altri appartenenti alla nostra specie. Quando sono stati bombardati scuole e ospedali, lo hanno fatto in una maniera più "raffinata" rispetto alle palesi e ancor più brutali violazioni che sta commettendo in queste ore il vassallo mediorientale israeliano.


Stella Assange a una protesta presso l'univerità Orientale di Napoli occupata, per liberare Assange e contro il "giornalicidio" in Palestina.
Stella Assange a una protesta presso l'univerità Orientale di Napoli occupata, per liberare Assange e contro il "giornalicidio" in Palestina.

Stella Assange a una protesta presso l'univerità Orientale di Napoli occupata, per liberare Assange e contro il "giornalicidio" in Palestina. Alcuni studenti sono sdraiati a terra, come se fossero morti, coperti da un telo bianco e indossando un casco con la scritta "press".

Stella Assange a una protesta presso l'univerità Orientale di Napoli occupata, per liberare Assange e contro il "giornalicidio" in Palestina. Alcuni studenti sono sdraiati a terra, come se fossero morti, coperti da un telo bianco e indossando un casco con la scritta "press".

In un Mondo sempre più de-sensibilizzato e de-politicizzato, la battaglia per la ricerca della verità diventa ancora più importante. Ovviamente la ricerca della verità include ipotetici aspetti controversi o critici di Wikileaks e del suo fondatore... Ma, soprattutto, bisogna partire dagli aspetti sicuramente controversi dei vari Stati, specialmente quelli che si definiscono democratici e che conducono guerre illegali per "esportare" la democrazia, e che alla fine invece tramano per conservare il potere del complesso militare industriale, stringendo alleanze con i peggiori e "apertamente" dittatori, aumentando insicurezza e fomentando terrorismo, ciò che dicono di combattere. Per questo abbiamo bisogno di tanti e tante "Assange", per questo servono persone coraggiose e rivoluzionarie, per questo abbiamo bisogno di ricercare la verità, in tutte le sue sfaccettature.

Abbiamo l'urgente necessità di trovare "le" verità, di comprendere quanto più possibile la vastità delle interrelazioni di ciò che ci circonda, e ancor di più di ciò che ci viene nascosto. Una società basata su menzogne e manipolazioni sarà per forze di cose ingiusta e fondata sulla sofferenza



Paolo Maria Addabbo AKA Scribah Chino

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Come di consueto, vi lasciamo con una citazione musicale in tema: si tratta di "Assange" di Lucariello e Barraco. In più alleghiamo il video di una breve intervista a Stella Morris quando è stata a Napoli per il conferimento della cittadinanza onoraria partenopea a suo marito, e assistito, lo scorso Novembre. E anche il video in cui parla di libertà d'informazione e segreti di stato in occasione del festival "Imbavagliati".




                                                      








Locandine degli eventi organizzati per i giorni "x" a Napoli: si terranno manifestazioni in tutto il Mondo. A sinistra una maschera con il volto di Assange: la sua bocca è imbavagliata da una bandiera USA.
Locandine degli eventi organizzati per i giorni "x" a Napoli: si terranno manifestazioni in tutto il Mondo. Sotto invece le immagini della delibera e della targa relative alla cittadinanza onoraria napoletana: Napoli è stata la prima grande città italiana a conferirla, e in altri comuni ci sono state resistenze e polemiche in merito a provvedimenti analoghi.



immagini della delibera e della targa relative alla cittadinanza onoraria napoletana: Napoli è stata la prima grande città italiana a conferirla, e in altri comuni ci sono state resistenze e polemiche in merito a provvedimenti analoghi.

immagini della delibera e della targa relative alla cittadinanza onoraria napoletana: Napoli è stata la prima grande città italiana a conferirla, e in altri comuni ci sono state resistenze e polemiche in merito a provvedimenti analoghi.




ultima modifica 24/02/2024 16:58

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